Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso.

1) I due limiti fondamentali all'uso della cosa comune sono, quindi, il divieto di alterare la destinazione della cosa e il divieto di impedire agli altri partecipanti di farne parimenti d'uso. L'uso da rispettare è quello attuale. Per esempio, è stata considerata alterazione della originaria destinazione del bene la permanente utilizzazione di un giardino comune come parcheggio. La nozione di pari uso non va intesa in senso di uso "identico", tanto che è normalmente ammesso che un condomino faccia un uso più intenso della cosa rispetto agli altri: l'importante è che ciascuno abbia il diritto ad usare potenzialmente della cosa al pari degli altri.
(2) Il partecipante alla comunione ha il diritto di modificare la cosa comune sostenendo i relativi costi al fine di realizzare un godimento migliore della cosa stessa. In tale ultima ipotesi gli altri comunisti, se non domandino la rimozione del miglioramento effettuato a loro favore da un singolo comunista, hanno diritto di acquisirla; ciò, ovviamente, sempre che essa sia fruibile e si connoti alla stregua di un'innovazione (art. 1108 del c.c.) della cosa comune. Al comunista autore dell'innovazione compete, dunque, il rimborso delle spese sostenute per migliorare il bene comune.
(3) Il secondo comma dell'articolo si riferisce all'estensione del diritto sulla cosa comune inteso come usucapione del diritto di comunione per una quota maggiore o usucapione di tutta la cosa da parte del singolo comunista. Dottrina e giurisprudenza sono concordi nel richiedere un mutamento del titolo, che provi in maniera inequivocabile il nuovo animus possidendi.
Ratio Legis
La disposizione disciplina i diritti del condomino rispetto alla cosa comune. Si tratta di una norma che trova larga applicazione anche in materia di condominio negli edifici (artt. 1117 ss. c.c.).
Modificazioni a spese di un partecipante per il miglior godimento della cosa
Degna di nota è piuttosto l'espressa statuizione che il condomino possa a proprie spese introdurre le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Caratteristiche essenziali sono la volontà decisiva anche di un singolo compartecipe e l'accollo da parte sua per intero delle spese. Le spese per il semplice godimento della cosa comune sono a carico dei partecipanti (art. 1104 del c.c.), le spese per un miglior godimento sono a carico di tutti i partecipanti, se deliberato dalla maggioranza di essi (art. 1108 del c.c.), ma se il singolo, pur di avere un miglior godimento della cosa, entro i limiti della sua destinazione, è pronto a sobbarcarsi alle spese relative, deve poterlo fare, anche in mancanza di una deliberazione di maggioranza, dato che tale comportamento del singolo riesce di vantaggio a tutti i compartecipi.
Interversione del titolo del possesso del condominio
Col capoverso il nuovo codice risolve espressamente l'annosa questione della possibilità del condomino di usucapire la cosa comune e delle condizioni che devono concorrere per aversi tale possibilità.
Seguendo la giurisprudenza si è sostenuta la tesi secondo cui per l' impossibilità di equiparare i due titoli di condomino e di domino solitario fosse necessaria l'interversione del titolo del possesso per l'inizio dell'usucapione del condomino, ma che l' interversione del condomino potesse seguire in forma diversa da quelle prescritte per i possessori precari dagli art. 2116 e 2117 vecchio codice civile. La stessa soluzione è oggi prevista legislativamente. Il partecipante, per l'art. 1102, non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso. Quali siano questi atti l'articolo in esame però non lo dice, né particolari indicazioni sono fornite dall' art. 714 del c.c. che, a proposito delle comunioni ereditarie, stabilisce che può domandarsi la divisione anche quando uno o più eredi abbiano goduto separatamente parte dei beni ereditari, salvo che si sia verificata la prescrizione per effetto di possesso esclusivo. Da quest' ultima disposizione si può trarre, infatti, soltanto la regola negativa che a costituire il possesso esclusivo non basta un godimento separato.
Una ragione per dubitare dell'accoglimento della soluzione dominante potrebbe derivarsi dagli art. 1141 e 1164 del presente libro i quali, riferendosi specificamente all'interversione della detenzione o del possesso da parte del semplice detentore o del possessore di un diritto reale su cosa altrui, prescrivono all'uopo la causa proveniente da un terzo 0 l'opposizione fatta dal detentore o dal possessore contro il possessore o contro il diritto del proprietario. Tuttavia, anche se la portata dell'art. 1164 è più ampia in confronto a quella dell'art. 2116 del vecchio codice, la soluzione non muta, nei riguardi del condomino, che possegga l'intera cosa, poiché di questi non può dirsi che abbia un possesso corrispondente all'esercizio di un diritto reale su cosa altrui. La formula generica dell'art. 1102 impedisce di concretizzare gli atti idonei a mutare il titolo del possesso solo in quegli atti voluti dagli art. 1141 e 1164.
A cura dello Studio D&C
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